Da babele alla Pentecoste

Messaggio per la Quaresima 2023

Care sorelle e cari fratelli della Diocesi di Mileto Nicotera Tropea!

Tra pochi giorni comincerà per tutti noi il periodo di grazia della Quaresima, in un tempo non facile per il mondo che piange le tante, troppe vittime delle guerre che imperversano in ogni parte del globo. Questi sono indubbiamente segni dei tempi che faremmo bene a discernere, per evitare che simili stragi abbiano a continuare o a ripetersi ancora. Papa Francesco richiama e invoca continuamente il dono della pace e del dialogo ma la sua voce purtroppo resta inascoltata in un panorama internazionale che, sordo a questi appelli, continua a soffiare sul fuoco della violenza.

Perché la guerra è ritenuta dai potenti più necessaria del dialogo?
Perché non riusciamo più a comunicare?
Cosa ci sfugge?

L’episodio biblico di Babele, narrato nel libro della Genesi, ci parla di un popolo desideroso di “farsi un nome”, cioè di essere considerato come “qualcuno”. Questo non è un male in sé, ma lo diventa nel momento in cui ciò accade a spese di qualcun altro, che viene escluso o ucciso. La dinamica presente nell’episodio di Babele ci parla della tentazione che spesso si affaccia nel cuore di ogni uomo: tentare di spingersi verso il cielo per farsi un nome e sostituirsi a Dio, per delirio di onnipotenza, invidia e bramosia.
Nel mistero della Pentecoste, invece, è Dio stesso, è il Dio che non ha bisogno di farsi un nome[1], è la terza persona della Trinità che scende con umiltà e amore verso l’uomo, per condividere generosamente con lui la sua ricchezza. Quale sia il suo scopo, appare subito chiaro: aiutare l’uomo a diventare davvero come Dio!

È ancora viva in me l’emozione per l’assemblea sinodale di domenica 29 gennaio, svoltasi qui a Mileto in una Cattedrale stracolma di fedeli. Ho avuto modo di vedere il vostro entusiasmo nell’intraprendere l’itinerario del Sinodo universale indetto da Papa Francesco. Che bel segno pentecostale di Chiesa in cammino!
In quella assemblea, come in ogni assemblea eucaristica che celebra il mistero del Cristo che per Amore si fa Parola e Pane, Dio dice ancora una volta di più “Io Sono”! Dio si rende presente per dimorare presso di noi, nelle nostre case, nella nostra famiglia, nella nostra vita! Accogliamolo allora con questo stesso entusiasmo e condividiamo coi nostri fratelli non lo stile di Babele, ma quello della Pentecoste!
Facciamo nostra questa occasione provvidenziale che il Sinodo ci offre: viviamolo in pienezza, lasciandoci accompagnare dalla preghiera e dalla condivisione della Parola che edificano la Chiesa e la società umana, che per essere umanizzate hanno bisogno di sane relazioni tra noi e che per essere divinizzate hanno necessità di relazione vera con Dio!

Infine, ho una preghiera del tutto speciale da rivolgervi: spero con tutto il cuore che ogni comunità cristiana della nostra Diocesi riesca a cogliere questa occasione del Sinodo universale per attivare gruppi sinodali di ascolto sul territorio dedicati ai giovani. Sono i nostri figli, sono il nostro futuro, sono la speranza del domani per il mondo e per la Chiesa: ascoltiamoli! Offriamo ai nostri giovani un tempo e un luogo per entrare in contatto con il loro modo di vedere e di sentire, con la loro sensibilità e la loro forza, con le loro paure e le loro incertezze! Non lasciamo che arrivino a pensare: “non interessa a nessuno la nostra vita!”. Chiamiamoli, cerchiamoli, andiamo loro incontro nelle strade e nelle piazze!

Termino questa lettera ricordandovi ciò che San Pietro Crisologo indica come strada privilegiata per porre i nostri passi sulle stesse impronte di Dio: la preghiera, il digiuno e la misericordia.

“Tre sono le cose, tre, o fratelli, per cui sta salda la fede, perdura la devozione, resta la virtù: la preghiera, il digiuno, la misericordia. Ciò per cui la preghiera bussa, lo ottiene il digiuno, lo riceve la misericordia. Queste tre cose, preghiera, digiuno, misericordia, sono una cosa sola, e ricevono vita l’una dall’altra.Il digiuno è l’anima della preghiera e la misericordia la vita del digiuno. Nessuno le divida, perché non riescono a stare separate. Colui che ne ha solamente una o non le ha tutte e tre insieme, non ha niente. Perciò chi prega, digiuni. Chi digiuna abbia misericordia. Chi nel domandare desidera di essere esaudito, esaudisca chi gli rivolge domanda. Chi vuol trovare aperto verso di sé il cuore di Dio non chiuda il suo a chi lo supplica.Chi digiuna comprenda bene cosa significhi per gli altri non aver da mangiare. Ascolti chi ha fame, se vuole che Dio gradisca il suo digiuno. Abbia compassione, chi spera compassione. Chi domanda pietà, la eserciti. Chi vuole che gli sia concesso un dono, apra la sua mano agli altri. È un cattivo richiedente colui che nega agli altri quello che domanda per sé.O uomo, sii tu stesso per te la regola della misericordia. Il modo con cui vuoi che si usi misericordia a te, usalo tu con gli altri. La larghezza di misericordia che vuoi per te, abbila per gli altri. Offri agli altri quella stessa pronta misericordia, che desideri per te.
Perciò preghiera, digiuno, misericordia siano per noi un’unica forza mediatrice presso Dio, siano per noi un’unica difesa, un’unica preghiera sotto tre aspetti[2]”.

In questo tempo di guerra e tormenti, la pace di Dio dimori nei vostri cuori e nei cuori di ogni uomo di buona volontà. La nostra terra, povera di valori di fraternità universale, ha bisogno della luce del Vangelo di Cristo, che è annuncio e preparazione alla Pentecoste.

Fraternamente vi benedico.

Mileto, 21 febbraio 2023

Il vostro vescovo

   + Attilio

[1] I termini “spirito” e “santo” non sono un nome proprio e sono attributi divini comuni alle tre Persone divine; si possono utilizzare infatti per tutte e tre le persone della Trinità.  Ma, congiungendo i due termini, la Scrittura, la liturgia e il linguaggio teologico designano la Persona ineffabile dello Spirito Santo, senza possibilità di equivoci con gli altri usi dei termini “spirito” e “santo” (cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 691).

[2] San Pietro Crisologo vescovo, Discorsi (Disc. 43; PL 52, 320 e 322).