Venne la pienezza del tempo

Lettera pastorale del Vescovo per la Quaresima 2024

Carissimi Fratelli e Sorelle,

questo tempo di Quaresima, che oggi cominciamo con la liturgia del Mercoledì delle Ceneri, cade in un contesto di evidenti contrasti: non soltanto il panorama internazionale presenta diversi punti critici (guerre, migrazioni, carestie, sfruttamenti) ma anche nel contesto nazionale sempre più trova spazio una cronaca inesorabile di femminicidi, alienazione sociale, contrasti generazionali, di emergenza sanitaria, disoccupazione. A ben guardare, anche a livello locale da un po’ di tempo viviamo difficoltà paragonabili a quelli che ha vissuto San Paolo con la comunità dei Galati.

Ma lasciamo risuonare la Parola di Dio:

Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre!“. Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio. Ma un tempo, per la vostra ignoranza di Dio, voi eravate sottomessi a divinità che in realtà non lo sono. Ora invece che avete conosciuto Dio, anzi da lui siete stati conosciuti, come potete rivolgervi di nuovo a quei deboli e miserabili elementi, ai quali di nuovo come un tempo volete servire?  Voi infatti osservate scrupolosamente giorni, mesi, stagioni e anni Temo per voi di essermi affaticato invano a vostro riguardo. Siate come me – ve ne prego, fratelli -, poiché anch’io sono stato come voi. Non mi avete offeso in nulla.  Sapete che durante una malattia del corpo vi annunciai il Vangelo la prima volta; quella che, nella mia carne, era per voi una prova, non l’avete disprezzata né respinta, ma mi avete accolto come un angelo di Dio, come Cristo Gesù.

Dove sono dunque le vostre manifestazioni di gioia? Vi do testimonianza che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati anche gli occhi per darli a me.  Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità Costoro sono premurosi verso di voi, ma non onestamente; vogliono invece tagliarvi fuori, perché vi interessiate di loro. È bello invece essere circondati di premure nel bene sempre, e non solo quando io mi trovo presso di voi, figli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi! Vorrei essere vicino a voi in questo momento e cambiare il tono della mia voce, perché sono perplesso a vostro riguardo.

Ditemi, voi che volete essere sotto la Legge: non sentite che cosa dice la Legge?  Sta scritto infatti che Abramo ebbe due figli, uno dalla schiava e uno dalla donna libera.  Ma il figlio della schiava è nato secondo la carne; il figlio della donna libera, in virtù della promessa.  Ora, queste cose sono dette per allegoria: le due donne infatti rappresentano le due alleanze. Una, quella del monte Sinai, che genera nella schiavitù, è rappresentata da Agar – il Sinai è un monte dell’Arabia -; essa corrisponde alla Gerusalemme attuale, che di fatto è schiava insieme ai suoi figli.  Invece la Gerusalemme di lassù è libera ed è la madre di tutti noi.  Sta scritto infatti:

Rallégrati, sterile, tu che non partorisci,  grida di gioia, tu che non conosci i dolori del
parto, perché molti sono i figli dell’abbandonata, più di quelli della donna che ha marito.

E voi, fratelli, siete figli della promessa, alla maniera di Isacco.  Ma come allora colui che era nato secondo la carne perseguitava quello nato secondo lo spirito, così accade anche ora.  Però, che cosa dice la Scrittura? Manda via la schiava e suo figlio, perché il figlio della schiava non avrà eredità col figlio della donna libera. Così, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma della donna libera. (Galati 4,4-7)

 

San Paolo era passato nella provincia romana della Galazia nel suo secondo viaggio missionario (agli inizi degli anni 50) annunciando il Vangelo di Cristo a questo popolo di lontane origini celtiche, dedito al politeismo e a riti naturali ma che aveva accolto con profonda gioia l’annuncio di Cristo, tanto da distinguersi per la generosità nella risposta, piena di slancio ed entusiasmo. Ma altri missionari avevano stravolto purtroppo l’annuncio del Vangelo, ponendo l’accento sulla legge mosaica come premessa essenziale per poi aderire a Cristo e alla Chiesa. Per questi ultimi il battesimo non era sufficiente, ma anzi occorreva prima la circoncisione per poi entrare nella pienezza della fede col battesimo.

Ma il “Respiro” presente nella parola fluente di San Paolo non era umano, il Vangelo che annunciava non era modellato sull’uomo (cfr. Galati 1,11-13) ma suscitato dallo Spirito Santo che è il solo che può portare alla vera libertà, alla vera fede, alla vita nuova!

La nostra vocazione, la nostra missione, la nostra identità e il nostro compito di credenti nel mondo sono sempre in pericolo, perché indubbiamente ogni fedele è tentato dal demonio a limitare la propria prospettiva, lasciandosi condizionare dai soli parametri e confini umani.

La pienezza del tempo (Gal 4,4) di cui parla San Paolo, cos’è? Questo “pléroma” è stato descritto in molti modi diversi, ma certamente questa pienezza si riferisce ad un calice pieno, un duplice mistero ormai colmo tanto della iniquità umana presente, quanto della Grazia divina incipiente! Nella sequenza della Pasqua infatti canteremo, acclamando: “Mors et Vita duello conflixere mirando: dux vitæ mortuus, regnat vivus – Morte e vita si sono affrontate in uno stupendo duello: il Signore della Vita, morto, ora regna vivo!”. Cristo prende su di sé il mistero della nostra iniquità e offre sé stesso in sacrificio soave al Padre, in un abbraccio che uccide la morte per sempre!

Così come Cristo, anche noi siamo sfidati continuamente a duello dalla morte e dal peccato, combattendo una battaglia che, a volte, ci vede umiliati e derisi sotto i colpi impietosi di quei flagelli che colpirono anche Gesù, il quale però non sembrava preoccuparsi troppo né di Anna né di Caifa, né di Pilato. A volte siamo portati sul Litóstroto dell’opinione altrui, dei giudizi, delle accuse e delle chiacchiere ma anche lì Gesù sembra noncurante della folla che urla contro di lui “Crocifiggilo! Crocifiggilo!”. A volte saliamo l’amaro declivio del Calvario e cadiamo sotto il peso della croce, ma Gesù non sembrava preoccuparsi nemmeno di quello, quando ha vissuto nella sua carne questo mistero. Non sembrava preoccupato di essere trattato come uno dei ladri coi quali condivise la morte, né tantomeno temeva di essere dichiarato un blasfemo lui, che invece è davvero il Figlio di quel Padre il cui nome non ha mai offeso, ma che anzi lo ha glorificato nel supplizio della Croce.

È invece della propria umanità che Gesù si è preoccupato, perché chiamato a portarla alla pienezza di un amore per il Padre che nessuno (nemmeno San Paolo) aveva la capacità di riempire con il suo povero, piccolo cuore di uomo. Quella meravigliosa, commovente preghiera “Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?” anche la recitiamo noi tutti i giorni, spesso senza accorgercene, supplicando il Signore di non abbandonarci nell’ora della tentazione e di renderci liberi dal male. Ma quella preghiera – che noi recitiamo soltanto – Gesù la vive, la fa vivere, la fa diventare VITA, diventa vita nuova! È a questo che il Signore ci chiama in questa Quaresima: a non vivere condizionati dal male, quanto piuttosto a rimanere concentrati, cercando sempre e soltanto il tesoro del Bene Divino! San Paolo mette in guardia i suoi dal desistere da questa lotta, quando solennemente chiede, con cuore di padre: “O stolti Gàlati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso? Questo solo io vorrei sapere da voi: è per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver creduto alla predicazione?” (Gal 3,1-2). Non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo distrarci dal cercare con tutte le nostre energie il tesoro del Padre, e questo tesoro è il cuore di Cristo che desidera battere all’unisono col nostro cuore! Lui ci ha amati tanto da combattere al posto nostro quel duello con la morte che nessuno di noi avrebbe mai potuto vincere ma, in Lui, noi figli l’abbiamo già vinto! Quel tesoro è già nostro, se lo accogliamo!

Perciò, concludendo questa lettera, anch’io come San Paolo vi esorto, in questo tempo di incertezze e di sofferenza, a ricordarci che non siamo soli, a ricordarci che abbiamo una luce che ha il potere ci condurci fuori dalle tenebre, senza essere costretti ad alcun compromesso col male. E il nostro compito di figli di Dio sta proprio nel rendere testimonianza alla Luce SENZA permettere alle tenebre di prendere il sopravvento sul nostro cuore, tutto orientato a Dio Padre. San Paolo, nella parte finale del brano, esorta i suoi a vivere come figli della promessa, figli di quell’atto volontario col quale Gesù liberamente offre sé stesso per amore, trasformando così la morte stessa in aurora di vita eterna. Siamo chiamati perciò a mandare via dalla nostra vita “la madre schiava e suo figlio”; Paolo parla di Agar e di Ismaele ma parla, allegoricamente, delle nostre abitudini malate e dei pensieri tenebrosi che hanno generato queste abitudini. Il digiuno, la penitenza e la preghiera possano essere doni graditi a Dio per ottenere un linguaggio edificante, un cervello non stolto, e un cuore nuovo, che sappia riconoscere e seguire solo ed esclusivamente quella Luce che ci insegna a trasformare le tenebre in luce, la morte in vita!

Vi accompagno con la mia benedizione e la mia preghiera.

Mileto, 14 febbraio 2024

Il vostro Vescovo
+ Attilio

Immagine:
Peter Paul Rubens, Christ on the Cross between the Two Thieves, 1620